Alzheimer: in arrivo in Europa il farmaco che può cambiare tutto

Una nuova speranza si affaccia all’orizzonte per le persone che sono affette da Alzheimer e, naturalmente, anche per le loro famiglie, che ogni giorno affrontano le difficoltà legate a questa patologia. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha compiuto passi da gigante e finalmente, in Europa, è stato approvato un nuovo farmaco che promette di rallentare la progressione di questa malattia neurodegenerativa. Si tratta di una notizia di grande rilievo, poiché l’Alzheimer rappresenta una delle principali cause di disabilità e dipendenza tra le persone anziane. Andiamo quindi a vedere di che farmaco si tratta, quali sono le sue caratteristiche principali e in che modo agisce sul cervello dei pazienti, offrendo una nuova prospettiva di trattamento e di speranza per il futuro.

Nuovo farmaco per l’Alzheimer: ecco di quale si tratta

Come stavamo dicendo, c’è una nuova speranza per le persone che soffrono di Alzheimer, dato che in Europa è finalmente arrivato un farmaco approvato, il quale è in grado di andare a rallentare la progressione della malattia. Si tratta infatti di un evento molto importante, dato che potrebbe cambiare la vita di tantissime persone. La disponibilità di una terapia in grado di modificare il decorso della malattia rappresenta una svolta storica nella lotta contro l’Alzheimer, che fino ad oggi era stata affrontata principalmente con trattamenti sintomatici. Questo nuovo farmaco, infatti, apre la strada a una gestione più efficace della patologia, offrendo ai pazienti e alle loro famiglie la possibilità di sperare in una migliore qualità della vita e in un rallentamento del declino cognitivo che caratterizza la malattia.

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Il farmaco in questione è il lecanemab, ovvero un anticorpo monoclonale, il quale è stato sviluppato dalle aziende Eisai, in Giappone, e Biogen negli Stati Uniti. Si tratta di una molecola innovativa che agisce in modo mirato sul meccanismo alla base della malattia di Alzheimer. Infatti, il suo obiettivo è quello di andare ad attaccare e rimuovere la beta amiloide, ovvero una proteina che si va ad accumulare nel cervello delle persone affette da Alzheimer, formando delle placche tossiche che ostacolano la comunicazione tra le cellule nervose e contribuiscono al deterioramento delle funzioni cognitive. Lecanemab rappresenta quindi una nuova frontiera della terapia, perché non si limita a trattare i sintomi, ma interviene direttamente su una delle cause principali della malattia.

Questa proteina infatti va a formare le cosiddette placche amiloidi che sono da tempo associate al deterioramento cognitivo tipico dell’Alzheimer. L’accumulo di queste placche nel cervello è considerato uno dei principali fattori responsabili della perdita di memoria e delle difficoltà cognitive che caratterizzano la malattia. Infatti, si tratta di un grande successo dato che fino ad oggi i farmaci disponibili per questa malattia andavano ad agire solo sui sintomi, andando quindi a cercare di rallentare la perdita della memoria o anche di migliorare il comportamento. Con l’arrivo di lecanemab, invece, si apre la possibilità di intervenire in modo più profondo, cercando di modificare il decorso della malattia e di offrire ai pazienti una prospettiva di vita migliore e più lunga.

Cosa cambia per i pazienti

Questo farmaco va a rallentare il declino cognitivo. Infatti, secondo gli studi clinici, si è visto che nei pazienti trattati con tale farmaco, la progressione dell’Alzheimer si è andata a ridurre di circa il 27% rispetto al placebo in 18 mesi. Questo significa che, grazie a lecanemab, i pazienti possono mantenere più a lungo le proprie capacità cognitive e l’autonomia nelle attività quotidiane. Potrebbe sembrare sicuramente una percentuale contenuta ma in realtà risulta essere un risultato molto importante per una malattia progressiva come l’Alzheimer, in cui anche un rallentamento modesto può tradursi in mesi preziosi di vita di qualità migliore, sia per il paziente che per i suoi familiari. Inoltre, questi risultati rappresentano una svolta significativa nel panorama terapeutico, poiché fino ad oggi nessun farmaco era riuscito a dimostrare un impatto così concreto sulla progressione della malattia.

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C’è però da dire che questo trattamento non è adatto a tutti, infatti esso è stato approvato solo per i pazienti nella fase iniziale, ovvero quelli che presentano un lieve deterioramento cognitivo ma sono ancora autonomi nelle loro attività quotidiane. Questo significa che il farmaco è indicato per le persone che si trovano nelle prime fasi della malattia, quando i sintomi sono ancora lievi e la perdita di autonomia è minima. Inoltre è anche importante e necessaria una diagnosi certa di accumulo di beta amiloide nel cervello, poiché solo in presenza di questa caratteristica il trattamento può essere efficace. La selezione accurata dei pazienti è fondamentale per garantire la sicurezza e l’efficacia della terapia, evitando rischi inutili e massimizzando i benefici.

Quindi, per effettuare una diagnosi certa di accumulo di beta amiloide nel cervello, è opportuno fare esami specifici, come ad esempio la PET (tomografia a emissione di positroni) o anche la puntura lombare, in modo tale da essere sicuri della presenza delle placche amiloidi. Questi esami consentono di identificare con precisione i pazienti che possono trarre beneficio dal trattamento e di escludere coloro per cui il farmaco non sarebbe indicato. Andiamo quindi a vedere quali sono le persone che possono accedere a questo farmaco e come potrà essere somministrato, analizzando i criteri di eleggibilità e le modalità pratiche di accesso alla terapia.

Quali sono le persone che potranno accedere a questo farmaco?

L’autorizzazione all’immissione in commercio in Europa è stata concessa il 15 aprile 2025, ma ovviamente ogni Stato membro dovrà decidere autonomamente i tempi, le modalità e i vari rimborsi per questo farmaco. Questo significa che la disponibilità effettiva del farmaco potrà variare da paese a paese, a seconda delle procedure di approvazione e delle politiche sanitarie locali. Infatti, si prevede che in alcuni paesi come ad esempio la Germania o anche la Svezia, questo farmaco possa essere disponibile già in pochi mesi, grazie a sistemi sanitari più rapidi e a una maggiore disponibilità di risorse. In questi paesi, i pazienti potrebbero accedere presto a questa nuova opportunità terapeutica, con benefici immediati per la loro qualità di vita.

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Mentre in altri paesi, come anche l’Italia, i tempi potrebbero essere molto più lunghi, dato che bisogna andare a valutare i costi e anche negoziare con l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per stabilire le condizioni di rimborso e di accesso. Sicuramente, bisogna specificare che questo trattamento non è privo di rischi, infatti alcuni pazienti hanno avuto degli effetti collaterali importanti come ad esempio l’edema cerebrale o micro emorragie cerebrali, che richiedono un attento monitoraggio medico. Questi effetti collaterali, seppur rari, rappresentano una sfida importante nella gestione della terapia e impongono una selezione rigorosa dei pazienti, oltre a un controllo costante durante il trattamento. La sicurezza dei pazienti rimane una priorità assoluta, e per questo motivo l’accesso al farmaco sarà riservato solo a chi risponde a precisi criteri clinici.

Ciò significa che non tutte le persone potrebbero essere considerate idonee a questo farmaco. Ad esempio, le persone con due copie del gene ApoE4, le quali risultano essere più a rischio di sviluppare effetti collaterali gravi, potrebbero non essere considerate adatte per questo farmaco. La presenza di questo gene, infatti, aumenta la probabilità di complicanze e rende necessario un approccio ancora più cauto nella selezione dei pazienti. Ovviamente però bisogna comunque vedere cosa dicono gli esperti e sperare in questo farmaco, che rappresenta comunque una svolta importante nella ricerca e nella cura dell’Alzheimer, anche se non è una soluzione adatta a tutti.

Come si somministra

Questo farmaco viene somministrato per via endovenosa ogni due settimane, attraverso infusioni che devono essere effettuate in ambiente ospedaliero o in centri specializzati. Infatti, si tratta di una terapia che richiede un monitoraggio costante da parte dei medici, sia per valutare l’efficacia del trattamento sia per individuare tempestivamente eventuali effetti collaterali. I pazienti devono sottoporsi a delle risonanze magnetiche periodicamente, in modo tale da andare a controllare dei possibili effetti collaterali cerebrali, come edema o microemorragie, in modo da essere più sicuri e garantire la massima sicurezza durante il trattamento. Questo protocollo di monitoraggio è fondamentale per prevenire complicanze e per assicurare che il farmaco venga somministrato solo a chi può realmente beneficiarne.

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Sicuramente, si tratta di una somministrazione molto impegnativa sia per i pazienti che per le loro famiglie, poiché richiede frequenti visite in ospedale e una stretta collaborazione con il personale sanitario. Tuttavia, per coloro che sono nelle prime fasi della malattia e possono andare a guadagnare del tempo in più, questo impegno può essere ampiamente ripagato dalla possibilità di mantenere più a lungo le proprie capacità cognitive e l’autonomia. Ma quanto potrebbe costare questo farmaco? Secondo alcune stime, questo trattamento potrebbe costare decine di migliaia di euro all’anno, una cifra significativa che potrebbe rappresentare un ostacolo per molti pazienti, soprattutto in assenza di rimborsi da parte del sistema sanitario nazionale.

Bisogna inoltre andare a considerare che non si sa se effettivamente esso sarà rimborsato dal servizio sanitario nazionale e, nel caso del rimborso, sarà fondamentale andare a organizzare una rete di diagnosi precoce e ovviamente anche di somministrazione controllata, per garantire che il farmaco venga utilizzato in modo appropriato e sicuro. Ma si tratta comunque solo di ipotesi e bisogna solo aspettare le decisioni delle autorità sanitarie e le valutazioni economiche che saranno fatte nei prossimi mesi. Nel frattempo, la speranza è che questa nuova terapia possa rappresentare un passo avanti decisivo nella lotta contro l’Alzheimer e offrire una nuova prospettiva di vita a chi è colpito da questa malattia.

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